Soffitto a carena di nave

 

 

Il trecentesco soffitto ligneo a carena di nave è un elemento architettonico che si impone per la bellezza e originalità della sua soffitto a carena di nave, santa caterina di mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna veneta, veneziadecorazione e forma, e costituisce un esempio singolare e ricercato di copertura lignea.

 

La soluzione cosiddetta a carena di nave ha certamente dei richiami simbolici alla vita marinara ma anche di carattere pratico che le derivano dalla sua forma a scafo rovesciato che non doveva essere di difficile costruzione stante il vicino Arsenale veneziano.

 

Anche la relativa facilità di reperire il legname che giungeva in laguna proprio dalle parti di Mazzorbo, e l’esigenza di mitigare con una copertura in larice il particolare clima umido della laguna avrà indotto le monache a proteggere la navata con questa speciale soluzione architettonica.

 

Gli esempi di simili soffitti non sono molti: famoso quello trilobato di S. Stefano, quello di S. Polo, di S. Caterina di Venezia e quello di S. Giacomo dall’Orio.

soffitto a carena di nave Mazzorbo chiesa di santa Caterina                                                                                                 Forse con quest’ultimo, più che con altri, è possibile fare degli

accostamenti a S. Caterina di Mazzorbo, proprio per la robustezza della soluzione costruttiva, a volta unica a tutto sesto, dal chiaro richiamo al linguaggio tardo-romanico[1].

 

Il soffitto sostenuto da una doppia fila di barbacani, è legato assieme da otto catene di travi che di traverso ritmano e spezzano l’unità spaziale della volta.

La decorazione a cassettoni di larice, dalle catinelle dipinte a semplici motivi floreali in bianco e nero su sfondo rosso, molto diffusa a Venezia, si può vedere ancora oggi in alcuni soffitti lignei come a palazzo Van Axel o nelle logge di palazzo Ducale, dove si deve ricordare il grandioso soffitto a carena di nave che decorava la immensa sala del Maggior Consiglio[2] distrutto dal rovinoso incendio del 1577.

 

 

 

 

Coro pensile

 

Il coro pensile delle Monache, elemento tipico della architettura conventuale trecentesca, occupa sospeso su di una bella travatura in larice, buona parte della navata della chiesa.

 

coro pensile, barco, chiesa di santa caterina di mazzorbo, isola di Mazzorbo laguna di VeneziaNascoste agli occhi del mondo esterno, dietro le fitte grate delle finestre del barco, le monache di clausura assistevano con canti e preghiere alle funzioni religiose.

Bei barbacani lavorati poggiano sulle trecentesche colonne che sostengono la elegante travatura in larice del barco dalla decorazione a catinelle dipinte con l’usuale motivo floreale del soffitto dell’aula.

Gli originali medaglioni intagliati a quadrifoglio, intarsiati da piccole piastrelle dal delicato color celeste cono incastrati fra le estremità delle travi su cui corre una fine treccia lignea. Il capitello a becco di civetta delle due colonne di marmo bianco che sostengono il coro è modellato secondo una caratteristica foggia delle colonne trecentesche veneziane, di cui esistono svariatissimi esempi nella città lagunare[3]. Un semplice ciuffo di foglia di acanto che nel ripiegarsi su stesso forma la caratteristica voluta rigonfia in corrispondenza degli angoli dell’abaco, le piccole roselline che si alternano nel mezzo, completano, assieme al tondino ritorto, la semplice ed elegante modanatura del capitello.

Un vivo contrasto si avverte fra questa antica bellezza e le cinque rozze aperture incorniciate di bianco che disegnano con cattivo gusto la attuale parete del coro quadrettata da una banale scacchiera di finti mattoni. Dov’è finita l’antica bellezza che le snelle e bianche colonne fanno immaginare? Di certo un’altra decorazione rivestiva questo barco che non doveva discostarsi molto da quello di S. Caterina di Venezia o quello ancora bellissimo di S. Andrea della Zirada o di S. Alvise.

 

barco e colonna della chiesa di Santa caterina di mazzorbo, isola di Mazzorbo, laguna Venezta veneziaNei lavori di rifacimento cinquecentesco, queste colonne furono sostituite da altre di stile dorico[4] nel solito marmo rosso da Verona che si potevano ammirare fino a prima dei lavori di restauro del 1922 quando vennero tolte e forse vendute, ed a loro volta sostituite con le originarie trecentesche[5].

Sopra il coro, fra le tavole racchiuse dall’arco del soffitto, vediamo dipinta l’immagine della Madonna Immacolata[6] che schiaccia la testa di un serpente arrotolato sul mondo, a sinistra in ginocchio il santo monaco Nicolò Giustinian, padre di Madonna Bortoleta e a destra della Vergine la scritta apocrifa: “MADONA / BORTOLETA  / ZUSTINIAN  /  FONDATRICE /  DI COTESTO / MONASTERIO  /  1291”. Erroneamente il dipinto e la scritta attribuiscono a questo monastero di Mazzorbo, la vicenda relativa alla fondazione dell’omonimo monastero di S. Caterina di Venezia.

E’ infatti per questa fondazione di quest’ultimo convento che il Corner[7] la vicenda di un pio mercante veneziano che avendo già comperato una casa contigua al monastero di S. Caterina di Venezia, chiese di acquistare anche il luogo sacro, già abitato da i monaci dell’ordine dei Sacchiti, per assegnarlo a qualche famiglia religiosa. Nell’anno 1291 egli consegnò nelle mani di Bortolotta Giustinian, che fu fondatrice e prima Abbadessa, l’antico monastero dei Sacchiti, la casa contigua e tutti i suoi averi.

Questa nobile abbadessa era figlia del celebre Nicolò Giustinian, che fu monaco in San Nicolò del Lido, e poi per dispensa papale, marito di Anna Michiel. Tale speciale dispensa gli fu accordata in quanto il giovane monaco era l’unico superstite dei nobili della famiglia Giustinian che erano tutti periti nella guerra del 1171 comandata dal doge Vitale Michiel II contro Costantinopoli[8].

Fu proprio il doge che diede in sposa la figlia Anna e da questo matrimonio nacquero sei figli maschi e tre femmine, una delle quali appunto, Bortolotta, fondò il Monastero di S. Caterina di Venezia negli edifici avuti in dono dal pio mercante veneziano.

 

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[1]  A. NIERO, Chiesa di S. Giacomo dall’Orio, Venezia 1979, pag. 49.

[2]  G. PEROCCO – A. SALVADORI, Civiltà di Venezia, II, Venezia 1973, pag. 473.

[3]  Esempio significativo sono i capitelli datati 1361 e 1364 dell’abside della chiesa di S. Nicolò dei Mendicoli o quelli della navata centrale della chiesa di Sa. Stefano o di S. Giacomo dall’Orio.

[4]  …”si obbliga a far doi coloni con li suoi piedistalli, lo qual sia soto il choro justo al disegno, (…) le colone di prada madolada lustra…” ed è quanto risulta dal documento di impegno del tagliapietre Cristofalo G. Domenico De Zorzi, del 13 ottobre 1571 (A.S.V., S. Caterina di Mazzorbo, b.13, p.126).

[5]  Nell’Archivio Parrocchiale è conservata una lettera della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia del 27 aprile 1915 che trascrive l’autorizzazione ministeriale a rimuovere e a vendere le colonne e le panchine che vengono ritenute prive di pregio storico e artistico, purchè “siano sostituite con le originarie attualmente esistenti presso la canonica”. Le panchine di cui si parla nella lettera sono quelle che in parte si vedono accostate al muro di ingresso della chiesa, ed in parte nei muri laterali del presbiterio e che facevano prima un tutt’uno sotto il coro pensile. Con i restauri del 1922 – 25 si operò questa sostituzione di colonne così come venne demolita la cinquecentesca cornice marmorea dell’arcone del presbiterio  ritenuta anch’essa priva di valore artistico e storico.

[6]  L. REAU, op. cit., Paris 1956, II, pag. 82.

[7]  F. CORNER, op. cit., pag 55.

[8]  Nel 1171 l’imperatore bizantino Manuele Vomneno fece arrestare tutti i veneziani che si trovavano nel suo impero e confiscò loro tutti i beni. (F.C.LANE, op. cit., pag. 41) e pare ne abbia fatti trucidare ben 10.000. il doge Vitale Michiel II organizzò una risposta, saccheggiando i porti greci, ma una epidemia scoppiata nella flotta costrinse il doge al rientro in patria nel 1172 dove portò l’epidemia e trovò anche la morte per i tumulti che erano scoppiati al suo ritorno: fu così che perirono tutti i nobili Giustinian.