AVE MARIA MATER GRAZIE

Da S. Giacomo in Paludo a Mazzorbo

25 giugno 1988

 

 

E’ un’occasione veramente importante questa che festeggiamo oggi in concomitanza con la sagra della nostra isola di Mazzorbo.

L’occasione è il trasferimento della Madonna trecentesca dall’isola abbandonata di San Giacomo in Paludo sino a qui, nell’atrio della chiesa di Santa Caterina, vicino all’altro bassorilievo della “Madonna delle Grazie”.

E’ stata una corsa contro il tempo per strapparla al concreto pericolo di vandalismi e predazioni da cui soltanto un miracolo l’ha finora risparmiata. La statua troverà qui, in Santa Caterina di Mazzorbo, una degna sistemazione sino a quando andrà in porto il progetto del restauro totale dell’isola di San Giacomo in Paludo, che ci auguriamo avvenga presto.

Mi fa piacere ricordare il fattivo interessamento del Sindaco di Venezia, dott. Anntonio Casellati, il Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici, dott. arch. Margherita Asso, l’arch. Mario Piana, il Soprintendente per i beni Artistici e Culturali, dott.ssa Nepi Sciré, il dott. Ettore Merkel, la Società “Duri i Banchi”, presieduta dal geom. Gino Camata con la sua impresa che si sono concretamente occupati del trasferimento della Madonna ed il Consiglio di Quartiere di Burano.

Desidero ancora ricordare l’interessante mostra allestita dall’Equipe Veneziana di Ricerca, nei locali della scuola, ove si possono vedere tangibili testimonianze di materiale archeologico e documentario dell’antico passato di questa vicina isola di San Giacomo in Paludo.

Un particolare pensiero va a questa bella Madonna, alla maestà del suo semplice portamento, un invito per noi di confidare nella sua materna sollecitudine.

 

                                                                                                                     Sac. Ettore Fortezza

                                                                                                                     parroco di Mazzorbo

 

 

L’ISOLA DI S. GIACOMO IN PALUDO

 

 

L’isola di s. Giacomo in Paludo, di cui questa mostra testimonia il degrado e la rovina progressiva, rivestì per i veneziani un’importanza notevole sita com’è al margine di una via di comunicazione fondamentale collegante la città con la laguna nord e i territori terrafermieri del Sile e Piave.

I documenti nei secoli parlano di un’attenzione ininterrottamente rivolta alla cura e restauro dei manufatti ivi esistenti, in particolar modo della cavana di pubblica pertinenza giunta sino a noi in forme settecentesche ma probabilmente da sempre esistente nell’isola. Essa infatti espletava una funzione fondamentale in un luogo adibito, come scrisse Dandolo, “pro peregrinorum recepitone”. Il cronista data la fondazione dell’ospizio nel 1146, anno in cui Orso Badoer cedette l’isola a Giovanni Tron perché vi erigesse l’ospizio stesso. La citazione contenuta nella Bolla papale di Urbano III “hospitalem Sancti Iacobi, iuxta fluvium palude” lo attesta compiuto nel 1186.

Le attente ricerche compiute in loco dalla Equipe Veneziana di Ricerca oltre che documentare malinconicamente il rapido degrado segnato da incurie, vandalismi, agenti atmosferici e moto ondoso hanno confermato la remota origine dell’insediamento suggerendo altresì di anticiparla nel tempo. La scoperta di opere idrauliche alto medievali, accanto alle fondazioni di edifici monastici riferibili ai secoli XII-XIII, il ritrovamento di reperti romani o tardo antichi, in questa rassegna esposti, si offrono quali materiali preziosi di studio e riflessione.

Nel corso dei secoli molti lavori di ampliamento e restauro si susseguirono creando un palinsesto iconografico articolato e interessante, fino all’indemaniamento e conseguente consueta distruzione degli edifici monastici per interessi di organizzazione militare. Nel secolo XIX solo la cavana si salvò, forse perché ritenuta di utilità anche dall’amministrazione militare; ma quel che non fecero i decreti napoleonici lo compirono il tempo e l’incuria dei nostri contemporanei.

Il bel manufatto dal soffitto capriato, unico reliquio esempio testimone di un tipo architettonico e di una funzione peculiarmente veneziana, è crollato pochi anni or sono; all’Equipe Veneziana di Ricerca, che da anni segue con accorata devozione il lento volgere alla rovina della già fiorente isola, l’amaro compito di testimoniare ancora una volta l’invincibile e colpevole disfatta di arte e storia.

                                                                         

                                                                                                                        Ernesto Canal

 

 

LA MADONNA IN TRONO COL BAMBINO

 

Nel 1696 il Coronelli racconta nel suo “Isolario” a proposito di San Giacomo in Paludo, che vicino al pontile anticamente era posto davanti alla cinquecentesca chiesa “…evvi un Capitello, nel quale si venera la Beata Verginee con grande divotione. A questa sacra Immagine arde di continuo una lampada e col suono delle Campane vengono inviati i Passaggieri a tributare ossequi di venerazione alla medesima Vergine”.

Questa bella Madonna in trono col Bambino, prima di essere collocata, dove la vedevamo fino a ieri, lungo il muro di cinta dell’isola, era addossata alla chiesetta, poi demolita, così come si può vedere in questa stampa settecentesca (Tironi e Sandi). Con la trasformazione dell’isola in deposito demaniale, nei primi decenni del XIX secolo, l’altorilievo verrà spostato e nel 1899 troverà la sistemazione nella cappellina verso il canale.

Il blocco scultoreo in pietra d’Aurisina (187 x 100cm.) è un ottimo esempio di scultura della metà del XIV secolo. La maestà della Madonna assisa in trono, sottolineata dallo slancio verticale delle linee del panneggio e dalla regale frontalità della posizione retta del busto, viene spezzata dalla diagonale del braccio sinistro che si protende con la larga ed arcaicizzante mano verso il Bambino benedicente.

Tutt’attorno il trono sono scolpiti due angeli sui piastrini laterali, ed in alto, ai lati della conchiglia a cuspide, due piccole guglie con i rilievi della Madonna e dell’angelo Annunziante. Dietro alla cuspide l’immagine, ripetuta due volte, di San Giacomo Maggiore.

Insolito l’uso della pietra d’Aurisina per questa scultura, sotto la quale il Cicogna (1842) fino al 1837 leggeva le parole “AVE MARIA MATER GRAZIE”. L’opera si connota per uno stile arcaicizzante non ancora influenzato dal gotico internazionale che presto arriverà in Laguna.

 Concordo con il Merkel per una datazione verso la metà del Trecento, considerando il confronto con opere coeve, forse anche più tarde, quali la “Madonna della Misericordia” della Scuola dei Calegheri e quella a del fianco settentrionale della chiesa di San Tomà (1345?) (v. A. Rizzi, 1987): simile il piegare parallelo della veste ed i lineamenti essenziali del volto racchiuso da una identica cornice di velo e corona.

Esempio non raro di scultura erratica veneziana, probabile dono di qualche devoto al culto mariano, così largamente diffuso, ancor oggi, in laguna.

 

                                                                                                                      Enrico Comastri